I cibi ultraprocessati sono da evitare perché, col tempo, sono dannosi alla salute. I ricercatori di un grande studio internazionale, iniziato negli anni ‘90 in 7 Paesi europei, hanno quest’anno pubblicato sulla prestigiosa The Lancet Regional Health Europei corposi risultati della verifica sugli effetti nel tempo del notevole consumo di cibi ultra lavorati. Più precisamente, gli studiosi hanno misurato le conseguenze di detta abitudine alimentare sull’entità del rischio di sviluppare associazioni patologiche (multimorbilità) tra almeno due delle seguenti malattie croniche: cancro, diabete mellito di tipo 2 e patologie cardiovascolari; cioè tra le maggiori cause di malattia e morte al mondo. I vari studi precedenti si erano limitati a verificare le possibili relazioni tra dette abitudini alimentari e diverse singole patologie.
Il nuovo studio, denominato sinteticamente EPIC (da: European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition),condotto su più di 250mila volontari sani, ha evidenziato che le persone che hanno consumato più frequentemente, nel lungo tempo, alimenti ultra-lavorati ha manifestato un rischio maggiore del 9% di soffrire di una multimorbilità.
Più rischiosi sono risultati essere i cibi di origine animale, come i salumi, il pesce salato, i formaggi lavorati, le bevande zuccherate o addolcite artificialmente, mentre non è risultato rischioso il consumo pur corrente di alimenti, anche ultra-processati, di natura vegetale. Al proposito, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità fanno sapere che tale studio suggerisce che non è necessario evitare completamente gli alimenti ultra-lavorati ma che il consumo di essi dovrebbe essere limitato e dovrebbero essere preferitigli alimenti freschi o minimamente lavorati. Certamente l’assunzione abituale di cibi salutari, meno salati e meno zuccherati, riduce l’insorgenza delle malattie cronico-degenerative e della multimorbilità.
Anche in Italia, l’attenzione dei ricercatori si sta rivolgendo ai prodotti alimentari e bevande disponibili negli ultimi anni, sia naturali sia molto processati come i cosiddetti “fast food” o “ready-to-eat” e quelli precotti “convenience food”. Il conseguente progetto consentirà adeguate conoscenze di tali consumi in Italia, con aggiornamenti biennali del fenomeno sociale e delle conseguenze sulla multimorbilità.
Per quanto detto risulta opportuno qui precisare i 4 raggruppamenti della attuale classificazione dei cibi in relazione al grado di lavorazione:
il Gruppo 1 comprende le parti direttamente commestibili di vegetali (come: frutta, verdura, cereali, tuberi, semi, funghi ecc.) e di animali (come muscoli, frattaglie, uova, latte);
il Gruppo 2 comprende alimenti minimamente processati mediante processi industriali, quali: pressatura, centrifugazione, raffinazione, estrazione (come: le farine, il sale, lo zucchero, l’olio d’oliva, il burro ecc.);
il Gruppo 3 comprende cibi trasformati con aggiunta di conservanti naturali (come: zucchero, olio, sale), antiossidanti naturali, condimenti naturali o anche già cotti (come: verdure e legumi in scatola, salamoie, frutta secca salata o zuccherata, carne e pesce essiccati, stagionati, affumicati o sott’olio);
il Gruppo 4 comprende alimenti ultra-lavorati, cioè trasformati industrialmente, come non si potrebbe fare nella cucina di casa, con l’aggiunta di additivi chimici in funzione di conservanti, emulsionanti, edulcoranti… per governarne il sapore e la durata (quali: sciroppo di glucosio, mono e di gliceridi degli acidi grassi, nitriti di sodio e potassio, proteine isolate del latte o di altra origine ecc.).
Purtroppo, la comodità di poter disporre,subito e ovunque, di prodotti industriali gradevoli e ben confezionati induce a consumare, ad ogni età, prodotti del Gruppo 4. Così accade con le merendine industriali, con gli elaborati piatti sempre pronti al consumo, con le bibite mirabolanti. Sono alcuni esempi di prodotti e consumi scelti per comodità e piacevolezza ma non giustificati in sostituzione di quelli semplici e naturali.
In passato, l’esigenza di preservare cibi e bevande dall’incombente deterioramento ha indotto ad applicare trattamenti conservativi vari, sperimentati e perfezionati con l’esperienza, come è stato per i tradizionali insaccati, i formaggi stagionati, le salamoie, gli affumicati, le marmellate, ecc. Ciò è stato utile ed ha abituato i nostri gusti. Oggi abbiamo anche più salutari mezzi per evitare il deterioramento dei cibi, conservandone la freschezza ed evitandone l’alterazione.
Per di più, la costante attenzione ad evitare o molto limitare i cibi ultra-processati e gli eccessi zuccherini ed alcolici preserva la salutare adeguatezza del nostro microbiota intestinale e riduce il rischio di un malefico stato infiammatorio cronico.
Ne abbiamo abbastanza, se del caso, per confermarci nelle buone abitudini alimentari o, viceversa, per convertirci a più salutari nostri regimi alimentari, anche esemplarmente educativi per i nostri nonni e nipotini.
Marco Triulzi